Siamo all’inizio dell’autunno e quasi alla fine del famoso Expo. Sul quale circolano una quantità di opinioni diverse, come prima, più di prima. Intanto, la platea va divisa tra chi c’è stato e chi no; tra chi vive a Milano e chi no. lo, per esempio, vivo a Milano ma l’Expo l’ho solo sfiorato, battendo in ritirata nei pressi dell’ingresso. In compenso parenti, amici, familiari hanno composto un reportage esauriente. Non sto qui a giocare con i numeri, cosa che occuperà giorni e pagine di giornali, con benefici di inventario, un po’ come succede con l’Auditel.
Di certo, molti visitatori. Di sicuro, molta soddisfazione tra i visitatori. Il motivo è semplice: si è trattato di una enorme vetrina colma di immagini, gadget, opportunità per entrare in contatto con elementi di culture diverse. Un po’ come circolare in un super luna park, divertente e sorprendente. Il problema viene fuori quando penso al significato di tutto questo, che ha a che fare dichiaratamente con una emergenza alimentare profonda. So benissimo, a questo proposito, di camminare su un campo minato, il che, data la mole e le incertezze nell’incedere, aumenta del 275% la probabilità che pesti una mina. Ma certo, convegni, dibattiti, persino Bono, nel senso della Vox, hanno cercato di tenere presente la questione. Ma il messaggio che si voleva trasferire, se posso permettermi, è stato fagocitato dagli effetti speciali di una festa molto ben organizzata. Chi, trai milioni di visitatori, ha affrontato l’Expo allo scopo di cogliere un’urgenza, e quindi di riflettere e magari modificare il proprio stile di vita? Pochissimi, temo.
Anche perché – siamo onesti – non era la fame di chi la patisce, non erano le contraddizioni della globalizzazione, non era la distribuzione della ricchezza, non era lo sfruttamento dei lavoratori di un enorme Terzo Mondo, in piena e stabile evidenza, al centro della scena. In una posizione capace di distrarre dalle meraviglie dell’esposizione. Niente di male. Bastava dirlo, semplicemente, evitando di metterla giù troppo dura sul senso dell’iniziativa. Se è per questo, bastava dire anche a migliaia di ristoratori che hanno investito sull’evento (sin troppo) che i loro sforzi sarebbero risultati inutili poiché la ristorazione serale avrebbe costituito il momento clou dell’Expo medesimo. Milano by night? Quasi deserta. Turisti in gita diurna (Duomo-Castello- shopping) per poi tornare alla base nel senso dell’Expo, per cena.
In compenso, da questa grande iniziativa sono arrivate in città energie notevoli. Molti quartieri, a cominciare dalla zona Darsena-Navigli, hanno cambiato aspetto e ripreso quota. Vivaci e frequentati. Così come il polo delle ex Varesine. Al punto da offrire una immagine della citta molto tonica, di segno diverso rispetto al recente passato. Milano – ho letto non so più dove – rappresenta una meta internazionale ambitissima per molti giovani II che significa avere a che fare con freschezza, idee, voglia di fare. Così, al netto di ciò che è stato, spero che la chiusura dell’Expo non ne comporti altre. Che il trend – come dicono quelli che la sanno lunga – continui. Magari pensando concretamente ai ragazzi e alle ragazze che scelgono e sceglieranno Milano per un investimento personale carico di aspettative. Chi, come me, ricorda bene la Milano degli anni Settanta, non vede l’ora di respirare un po’ di aria nuova. Dentro la quale circolano persone e personalità interessanti, punti di vista diversi a confronto, proposte, iniziative. Di ogni genere. Con la spinta che può fornire – come proprio l’Expo ha indicato, al di là di ogni altra considerazione – una società multirazziale. Forse, di questo valore si potrebbe parlare più spesso. Avere a che fare con chi ha radici, cultura, abitudini e gusti diversi dai nostri, rappresenta un’opportunità meravigliosa e quasi preclusa alla mia generazione. Lo dico pensando a chi, proprio nella città dell’Expo, continua a pensare solo in negativo quando pensa all’immigrazione.
Lascia un commento