Il giudizio filosofico rappresenta l’atto fondamentale del conoscere umano in cui si dà la verità (o l’errore) e consiste nell’affermazione (o nella negazione) di qualche cosa, cioè nel pronunciamento del pensiero su un suo contenuto attuale.
La composizione del giudizio filosofico
La sua struttura appare pertanto come una relazione tra contenuti di pensiero; di qui il doppio aspetto e valore sotto il quale il giudizio può venire considerato: l’aspetto formale di relazione che è oggetto della logica, e l’aspetto contenutistico che, a seconda delle esperienze dalle quali i contenuti provengono, può essere oggetto della scienza epistemologica, psicologica, metafisica, etica, estetica e storica.
La logica, come scienza formale del giudizio, è stata elaborata nell’antichità da Aristotele, da Kant nell’evo moderno e dal logicismo contemporaneo. Le linee fondamentali sono: distinzione tra soggetto (S) e predicato (P) che si risolve in predicato nominale (S è P), cosicché l’atto della relazione tra S e P è realizzato dalla copula (è); relazione poi che può essere di identità (S è P), di inclusione del S nel P, di attribuzione del P alla comprensione del S. Di qui una classificazione di giudizio ordinata secondo la quantità del soggetto (universale, particolare, individuale), secondo la qualità della relazione (affermazione, negazione, privazione), secondo la relazione in sé (giudizi categorici, ipotetici, disgiuntivi), secondo la modalità della relazione (giudizi apodittici, assertori, problematici). Dalla combinazione di queste classi tra loro risulta la gamma di giudizi studiati in logica.
Il giudizio filosofico: da Aristotele ad Hegel
La riflessione filosofica si è posta poi la domanda sulla possibilità del giudizio e sul suo valore di verità. L’aristotelismo ha risposto con la dottrina dell’astrazione: attraverso il processo astrattivo viene concettualizzata quell’essenza del soggetto (singolare) che, nel giudizio, viene poi di esso affermata e predicata; di qui il valore ontologico del giudizio, valore che è pure salvato nella dottrina agostiniano-bonaventuriana basata sull’illuminazione divina e in quella rosminiana basata sulla priorità della idea dell’ente. Al contrario l’empirismo riduce il valore del giudizio ad una semplice relazione o sintesi di rappresentazioni fenomeniche, mentre il razionalismo lo ritiene come analisi di un’idea originaria.
Kant, proponendosi di fondare criticamente il valore scientifico, supera le opposte concezioni dell’empirismo e del razionalismo con la sua teoria dei giudizi sintetici a priori basata: sull’a priorità delle categorie o concetti puri; il giudizio scientifico ha valore universale e necessario perché costruito con l’ausilio delle categorie che sono a priori, ma il suo valore di contenuto è limitato ai dati fenomenici dell’esperienza e non abbraccia la realtà come tale.
Progredendo oltre, l’idealismo afferma che il giudizio è un prodotto esclusivo della creatività dello spirito, in quanto autodeterminazione del concetto e sua realizzazione, poiché il soggetto riceve significato dal predicato (Hegel); o il soggetto è, nel pensiero, il termine indeterminato, mentre il predicato ne è il termine determinante (Gentile). Ma l’intenzionalità della coscienza dell’essere espressa nel giudizio (che è sempre nell’orizzonte dell’essere per la strutturante presenza del verbo «essere») viene nuovamente riproposta e riaffermata dalle concezioni esistenziali odierne (Marcel, Heidegger).
Considerato poi nel suo darsi concreto, come fenomeno psichico, il giudizio risulta come una decisione mentale, su cui influiscono interessi di ordine affettivo e conoscitivo ed in cui agisce l’unità della conoscenza nel suo dinamismo scandito nel tempo; di qui il riproporsi continuo di tale decisione e pronunciamento, onde ogni atto di giudizio se da una parte chiude un processo problematico, da un’altra parte è an-che apertura di nuova e piú profonda ricerca.
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