La critica letteraria è un’attività dell’intelletto tesa a stabilire il valore di un’opera letteraria, a comprenderne i rapporti col tempo in cui essa è sorta, i legami con la tradizione artistica passata e con le correnti ideologico-estetiche contemporanee, sia della cultura che l’ha prodotta, sia delle culture spiritualmente affini o legate da qualche vincolo storico.
Che cos’è la critica letteraria?
La critica letteraria è un’operazione assai complessa, che richiede gusto e cultura, attitudine al bello, capacità critiche e vivo senso dei rapporti. Nel processo di raffinamento dell’atto critico si è oggi arrivati alla distinzione della critica letteraria come atto volto prevalentemente a dare un’giudizio estetico della singola opera d’arte, lasciando in un secondo piano le interferenze di vario genere che potrebbero ridurla a conclusioni diverse da quelle che le sono proprie: così, la critica letteraria non ha propriamente (o non avrebbe) il compito di stabilire se un’opera sia ad esempio più o meno patriottica, se risponda o no a una determinata ideologia religiosa o politica.
Nella realtà, la critica letteraria viene esercitata, sovente, in base a orientamenti ideologici precisi, e quindi può anche tener conto di quei momenti che pure, secondo il crocianesimo, le sono estranei. Nel tracciare un quadro storico della critica letteraria è facile invadere il campo dell’estetica; tuttavia, bisognerà considerare la critica letteraria come applicazione pratica dei vari orientamenti estetici e di gusto, che si sono via via affermati.
La critica letteraria nell’antica Grecia
In Grecia la critica letteraria era un fatto globale, perchè implicava proprio giudizi su aspetti non letterari dell’opera d’arte: morali e politici. Benchè Platone tentasse di distinguere il problema estetico (per negare la validità dell’arte), la critica letteraria continuò a fondarsi su criteri extraestetici, orientandosi sempre in base al principio pedagogico dell’arte, introdotto da Aristotele. Dopo Aristotele, Plotino riterrà che l’arte e il bello sono uno strumento di elevazione mistica dell’uomo. Anche per questo filosofo, dunque, viene assegnato alla critica (se così si può chiamare) un compito nettamente extraletterario: religioso-filosofico.
Intanto l’epoca alessandrina vede affermarsi l’aristotelismo, che, nel campo estetico, si traduce in una quantità di regole e regolette, che trasformarono la critica letteraria in una serie di atti meccanici e facili, prevalentemente diretti alla precisazione grammaticale e stilistica, a stabilire se questo o quel poeta avesse o no applicato giustamente certi principi della retorica, ecc. In questo periodo l’aspetto più vivo e profondo della critica letteraria è quello che si riferisce alla critica del testo; degne di nota sono le ricerche sulla questione omerica. Quando i Romani cominciano a occuparsi di critica letteraria, accolgono i metodi di quella alessandrina, ormai divenuta completamente formalistica, e ne accentuano i caratteri normativi. Ai Romani, dotati di spirito pratico, interessavano i mezzi per poter scrivere e pronunciare, per esempio, un discorso convincente. Così Cicerone in diverse opere (Orator; De Oratore; Brutus, ecc.) elenca una serie di concetti critico-normativi, retorici, e di esempi, compilando dei veri e propri manuali di retorica. Egli sfiora però la critica letteraria perché spesso cerca di dare un giudizio per esempio sugli oratori che l’hanno preceduto o contemporanei.
Anche Orazio concepisce la critica letteraria come un’applicazione di determinate norme, che egli elenca nella sua Ars Poetica. Della tarda epoca greca è il trattatello Del Sublime, un’opera ben documentata, in cui, con criteri assai vicini a quelli più moderni, si mette l’accento proprio sul valore intrinseco dell’opera d’arte. Anche lo scrittore Luciano di Samosata dà, nelle sue opere, giudizi critici sugli scrittori. Nel Medioevo domina, evidentemente, la critica pedagogica, però il giudizio teologico è determinante. C’è un particolare interesse per lo stile (come si può vedere nelle teorie letterarie di Dante); le nuove letterature in volgare sono sorte da queste ricerche stilistiche e Dante deve poi essere compreso fra i critici letterari, perché — specialmente nel De Vulgari Eloquentia, ma anche nelle altre opere, e nella Divina Commedia — egli dà giudizi, che fra l’altro sono validi anche oggi, sui poeti del suo e del tempo passato. Gli schemi medievali vengono a poco a poco abbandonati: la critica letteraria si rinnova, dunque, a un contatto che diviene sempre più intenso col mondo del passato, greco-latino, pagano; Petrarca e Boccaccio si situano in questo momento di sviluppo della poetica.
Il Petrarca esercita l’attività critica, anche nelle preferenze che egli manifesta verso questo o quello scrittore (per esempio, egli non comprende o -non vuol comprendere Dante); il Boccaccio, a sua volta, tenta la critica, sottolineando il valore dell’opera di Dante. Si fa strada, sia pure lentamente, la necessità di superare l’antitesi che reggeva e impacciava la critica medievale: quella derivante dal contrasto verità e arte.
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