I medievali come argomentavano di scienza all’interno di un contesto di fede? Un esempio calzante è rappresentato dall’opera di Duns Scoto: data l’alta specializzazione analitica del discorso scolastico, i filosofi medievali possono rispondere a dei problemi per noi oggi rilevanti, anche se lo fanno parlando degli angeli, entità reali garantite (per loro) dalla Rivelazione, e che per il dibattito attuale non godono dello stesso grado di garanzia epistemica.
Ma le loro proprietà spazio-temporali ci interessano perché possiamo predicarle di altri oggetti che sono invece per noi garantiti epistemicamente: per esempio, il mondo delle sub-particelle. Duns Scoto si era espresso sia per l’ubiquità dell’angelo, sia per la compresenza di più angeli in uno stesso punto; l’angelo è un ente reale, e non già una mera manifestazione divina, opera nello stesso spazio attuale in cui si muove l’uomo e anche in uno spazio in cui l’uomo non sa muoversi. La differenziazione tra gli spazi percorsi dall’angelo sarebbe data dalla non-validità dell’assioma di Archimede, e l’idea è che se ambedue gli spazi obbediscono alle stesse regole di triangolazione (data l’unicità della parallela), c’è continuità nel movimento angelico e nelle sue traiettorie che lo conducono alla terra; Scoto manifesterebbe così con la geometria semi-euclidea una scelta per cui esistono infinite parallele a una retta data passanti per un certo punto.
Infatti, la geometria semi-euclidea è una geometria in cui non vale il postulato delle parallele, ma in cui la somma degli angoli interni di un triangolo è eguale a due retti; in essa, date due gran-dezze geometriche, non è sempre possibile trovare un multiplo di quella inferiore che sia superiore all’altra. Per Scoto gli istanti temporali, come i punti della linea, si succedono mediati dai punti contenuti nel segmento che li unisce, e la successione conosce infiniti elementi. Tra la linea e il punto non si dà medio. L’infinità dell’angelo si concretizza nel suo essere un infinitesimo: le riflessioni matematiche in favore del continuo suggeriscono a Scoto come la natura infinitesimale dell’angelo resti distinta da quella di Dio, poiché l’angelo non può essere più piccolo di un limite infinitesimo, mentre Dio può essere assolutamente infinitamente piccolo (come infinitamente grande).
L’angelo gode di proprietà che sono negate ai corpi finiti, ma a sua volta Dio è ontologicamente di una infinità altra, possibile solo per una non-creatura. Questo significa che il movimento dell’angelo dipende dalla distanza che copre, quindi non ogni distanza si può coprire in un istante: l’angelo ancora più che muoversi empiricamente è sottoposto a mutazione (pre-empirica, extra-temporale, anche se fondata nella realtà).
L’angelo indivisibile occupa uno spazio divisibile, poiché l’angelo non è puntiforme, per quanto infinitamente divisibile. Il modello matematico è perfettamente adeguato alla descrizione del mondo empirico. Se lo spazio dei corpi inanimati e che noi esperiamo quotidianamente ci appare euclideo, non è affatto detto che nella totalità dei mondi possibili debba essere così; e gli angeli, che si danno nel mondo empirico solo di passaggio, ci conducono a pensare che la forma generalissima dello spazio sia semi-euclidea. Non è il deposito della fede cristiana a spingere in questa direzione secondo un nesso immediato, è il desiderio di inserire i dati del deposito della fede cristiana in un discorso razionale che spingono Scoto a proporre, come ipotesi persuasiva, la tesi di uno spazio continuo, non-archimedeo e semi-euclideo.
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