I frequenti rivolgimenti politici nelle diverse nazioni hanno creato il fenomeno dei profughi, ovvero di quei cittadini che si rifugiano in altri paesi per timore o in conseguenza di persecuzioni politiche. Durante la 1 guerra mondiale, il fenomeno assunse tale importanza da richiedere vere e proprie regolamentazioni legislative. In Italia, un fondamentale decreto del 1918 stabiliva che, agli effetti dell’assistenza, dovevano considerarsi profughi di guerra gli irredenti fuoriusciti delle terre italiane d’oltre confine e coloro che provenivano dai Comuni invasi e sgombrati per ordine dell’autorità militare e da quelli in cui, a causa delle operazioni militari, fosse venuto a cessare o si fosse reso estremamente difficile il normale svolgimento della vita civile; infine, i cittadini rimpatriati dall’estero per causa della guerra.
I problemi inerenti ai profughi si acuirono durante il grave sommovimento politico e militare causato in Europa dalla 2 guerra mondiale, con il particolare aspetto dell’internamento, richiesto dall’afflusso di rifugiati da uno stato in guerra in uno neutrale. Tra gli accordi internazionali a favore dei profughi ricordiamo la convenzione del 1933 relativa allo statuto internazionale dei profughi, alla non espulsione di essi tranne i casi di disordine pubblico e la possibilità ad essi riconosciuta di avere libero accesso ai tribunali; la convenzione del 1938 relativa alla condizione dei profughi dalla Germania nazista. Secondo la legislazione italiana vigente sono considerati profughi sia coloro che hanno dovuto lasciare la propria residenza a seguito di guerra sia quelli che hanno avuto la casa distrutta o inabitabile e si trovano in condizioni di non poter tornare alle località di residenza. Secondo la legge 4-3-1952 n. 137 sono inoltre considerati profughi coloro che già risiedevano in Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia, durante la sovranità su detti stati dello stato italiano, i profughi giuliani e dalmati, i profughi dall’Egitto, Tunisia, Tangeri e Algeria. Per essi sono previste particolari forme di collocamento obbligatorio per cui i privati datori di lavoro sono obbligati, se hanno un minimo di cinquanta dipendenti, ad assumere profughi nella misura del 10% nelle assunzioni di nuovo personale.
La questione ‘profughi’ è tornata prepotentemente alla ribalta anche di recente, nell’ambito dei rapporti internazionali tra l’Unione Europa e i paesi arabi, protagonisti negli ultimi anni della cosiddetta ‘primavera araba’. La guerra in Siria, unita alle sommosse popolari che hanno coinvolto molti paesi mediorientali hanno generato una vera e propria invasione di profughi, diretti clandestinamente verso le coste italiane e greche – primi punti di arrivo naturali per chi si muove dai paesi del sud. Negli ultimi anni, tuttavia, l’ondata migratoria ha assunto un aspetto inquietante; i profughi approdati nelle città europee sono centinaia di migliaia ogni anno. Numeri impressionanti che hanno costretto i governi centrali ma anche il Parlamento europeo al confronto sulle modalità di accoglienza possibili. L’Italia, come la Grecia, accoglie ormai da anni – senza ricevere alcun sostegno dagli alleati europei – centinaia di migliaia di profughi che – dal canto loro – vorrebbero attraversare l’Italia per cercare fortuna nei paesi del nord europa. L’accoglienza di questi ultimi, tuttavia, non è certo delle migliori; dopo un primo momento di accoglienza incondizionata, infatti, sono sempre di più i paesi che hanno deciso di alzare vere e proprie barriere per bloccare l’arrivo dei migranti, visti come un peso economicamente passivo ai danni dei governi locali e difficilmente inquadrati come risorse e motivo di arricchimento reciproco. Chi vivrà vedrà.
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